“La Parete che non c’è”: il film e la sua storia – 52′ – 16mm – 1985

Riassunto del film tratto dalla presentazione di Nuovi Mondi Festival

Storia a soggetto che racconta il dramma umano di uno sciatore estremo. Giorgio Passino, dopo mesi di allenamento con il suo miglio amico, Stefano De Benedetti, giunto in vetta, scopre che lo strato di neve è insufficiente per dare al secondo sciatore quel minimo di sicurezza che rende queste imprese degli exploits e non dei tentativi di suicidio. Contemporaneamente alla storia di Giorgio, le riprese seguono il lento trasformarsi della parete, durante le stagioni, fino al momento in cui una ennesima nevicata la mette “in condizioni”. Giunti in vetta all’Aiguille Blanche è lasciato all’amico l’onore e il rischio della prima discesa su pendii di neve e ghiaccio, rocciosi per la maggior parte dell’anno. Un film leggendario per tutti gli alpinisti e sciatori dell’estremo, con un maestro dei film d’avventura e di montagna come Michele Radici alla regia e Stefano De Benedetti, leggenda vivente dello sci estremo come attore principale.

La storia come l’ho vissuta io 

Nel 1985 l’Istituto Luce di cui era direttore Stefano Rolando, accettò di finanziarmi un film che avrebbe raccontato la prima discesa in sci della parete est dell’Aiguille Blanche du Peuterey una cima che superava di poco i quattromila metri e che Stefano Benedetti, una guida di Genova e forte sciatore estremo avrebbe voluto scendere per la prima volta.

Volendo evitare di creare il solito video documentaristico su una discesa, pur straordinaria per l’epoca, cercai di capire con il protagonista come avremmo potuto raccontare una storia diversa dal solito.

La discesa si prestava in modo particolare al compito per una serie di motivi. Per cominciare la parete di circa 1400 metri è sciabile raramente e di solito solo in Giugno quando uno strato sottile (circa 10cm nei punti topici) di neve compatta ricopre la via che poche decine di giorni dopo si scopre interamente e supera in alcuni punti il 4° grado. Come seconda cosa la via andava salita di notte per essere in vetta al momento giusto quando la neve smolla abbastanza per essere discesa. Ricordo che in quegli anni De Benedetti, come quasi tutti gli altri sciatori estremi, usavano sci da slalom, scarponi da sci normali e attacchi chiusi al 100% (per evitare di perderne uno in una curva saltata sul ghiaccio…) Decidemmo quindi che sarebbe stato interessante raccontare la storia della discesa iniziando dallo studio delle condizioni di innevamento, dagli allenamenti specifici, dallo studio della parete durante tutto l’anno precedente e del rapporto con l’amico Giorgio Passino, guida di Courmayeur e ottimo sciatore, che voleva scendere con De Benedetti la parete.

Il film segue quindi i due amici durante tutta la stagione invernale ed estiva mentre si preparano alla discesa.

Durante un allenamento (e questa è storia, non fiction) Giorgio Passino veniva investito da una piccola slavina da lui stesso provocata in una curva e iniziava a cadere acquistando sempre più velocità. sarebbe morto precipitando nel vuoto se ad un certo pnto uno sci non si fosse incastrato in una spaccatura o un crepaccetto che interrompeva la cresta che stavano scendendo. Gli attacchi chiusi impedirono agli sci di sganciarsi ma bloccarono la sua discesa mortale. In compenso il suo femore andò in frantumi e io filmai tutta la caduta sentendo negli auricolari del mio radio-microfono le urla del povero Giorgio. Molai la cinepresa ( ero a circa 100 metri dalla cresta dove stavano sciando e in mezzo c’era una valle ripida e corsi a chiamare aiuto alla funivia dell’a Punta Helbronner (1985) .

Giorni dopo l’operazione Giorgio era a casa con forti dolori e io mi trovavo nelle condizioni di aver filmato una storia dove Giorgio arrivava in cima alla Blanche con De Benedetti, si abbracciavano  ecc.

Nel film ci sono almeno tre scene girate con “effetti speciali”: in una scena vedrete Giorgio in tenda (alla base della parte si suppone) che si lamenta delle condizioni della parete. La scena è stata girata nel salotto di Giorgio dove montammo la tenda e coprimmo le gambe di Giorgio e la sua incastellatura metallica con un sacco a pelo. Sembra che lui sia dentro al sacco e che abbia dormito male…

Poco dopo si vede “Giorgio” arrivare sulla vetta della Blanche, al seguito di De Benedetti, avendo messo una giacca a vento con cappuccio per il freddo pungente dei 4.000 al mattino… se non fosse che invece è un commilitone di De Benedetti che cortesemente si prestò all’elicotterata sulla cima con discesa di poche decine di metri e arrivo in vetta…. ma c’è un primo piano di Giorgio che abbraccia il De Benedetti con tanto di controcampo che ne svela il sorriso e una serie di brevi battute. Altro “effetto speciale” Giorgio e De Benedetti sono sulla terrazza dell’Helbronner e Passino è appoggiato dolorante alla balaustra in legno della terrazza, dove dice che lascerà l’amico scendere da solo (e ti pare) perché nella salita s’è accorto che la neve nei passaggi più difficili è troppo poca per due… Di nuovo vediamo l’amico di De Benedetti lasciare la vetta e dirigersi verso la via normale di discesa…

Il resto del film sono circa tre mesi di lavoro per ricostruire i passaggi più difficili della discesa che era stata interamente filmata dall’elicottero il giorno della discesa.

 

Il film avrebbe vinto parecchi premi (a Trento era stato in lizza fino all’ultimo per la Genziana D’Oro) se io non mi fossi innamorato del testo, sicuramente troppo lungo ma anche molto importante, che De Benedetti aveva scritto e nel quale spiegava quelle che era le sue sensazioni durante la discesa. A Roma un tecnico dell’Istituto Luce mi aveva avvertito che lui l’avrebbe tagliato di ben oltre il 50% ma io stupidamente non l’avevo ascoltato.

La Parete che non c’è – 50′ – Regia e fotografia di Michele Radici

In occasione della prima ripetizione della discesa, effettuata 26 anni dopo quella di De Benedetti un certo Casali ha utilizzato senza il mio permesso né tantomeno quello del Luce parti del film per un servizio che ha venduto a RAI 3. Complimenti per l’etica di merda.